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Le nuove linee necessarie per un primo approccio propedeutico del progetto sul paesaggio – agli studenti delle scuole di paesaggio – di Michel Corajoud

Data: 24/07/2015

Restare il custode del proprio progetto
Aprire il tempo del proprio progetto e rendere esplicite le sue varie fasi di elaborazione sono una condotta auspicabile per condividerlo e correggerlo, se necessario, ma bisogna fare attenzione a non lasciare che il corpo stesso del progetto sia invaso, monopolizzato ed alla fine dirottato dai vostri interlocutori (a cominciare dai vostri stessi insegnanti)! Il creatore è il solo capace di conservare il filo della trasposizione, è l’unico che può assicurare la coerenza e l’unità del suo lavoro di elaborazione. Dovete dunque rimanere vigili custodi dei vostri progetti!

Aprire il proprio progetto in corso
I creatori, i responsabili di lavori hanno molto da dire su ciò che presiede il loro progetto e su ciò che si realizza a partire da questo ma più rare sono le testimonianze sull’atto stesso di progettare; ossia sull’insieme delle energie mobilitate, le diverse modalità, le diverse fasi di elaborazione, secondo le quali la sua cronologia si organizza. Essi occultano volentieri il loro procedimento, le sue fasi di evoluzione, di regressione, di ripresa e di completamento. Vorrei dunque avviarvi ad un approccio che farebbe più chiarezza sull’azione, piuttosto che sul suo compimento. Il tema più difficile è quello di mettere a fuoco il funzionamento stesso del progetto. E’ innanzitutto importante non confondere il progetto come tempo di elaborazione con il risultato stesso del lavoro. Tutti i direttori dei lavori sanno bene che ciò che decide la conclusione del loro progetto non è mai la data di consegna convenuta con il committente per avviarne la realizzazione. Senza questo limite imposto, il progetto senza dubbio non sarebbe mai finito.Tutto l’interesse del creatore si concentra dunque, in un primo momento, sull’apertura totale del tempo di ideazione, sulla concatenazione delle numerose e talvolta minuscole decisioni attraverso le quali, nello spazio, traspone, passo dopo passo, la domanda che gli è posta, con dei tentennamenti e degli andirivieni incessanti. Sia ben chiaro, tutte queste energie creatrici sono tese verso il loro compimento, ma penso che gli ideatori abbiano spesso torto a voler tacere l’errare del loro lavoro di progettazione. Per legittimare il risultato, arrivano troppo spesso a costruire a posteriori delle logiche implacabili che dissimulano tutte le esitazioni che hanno dato inizio al loro percorso e l’hanno reso permeabile al mondo esterno. Esibendo soltanto il risultato di un lavoro realizzato nel segreto del proprio laboratorio, l’ideatore rafforza l’incomunicabilità fondamentale del lavoro di creazione, mentre dovrebbe, credo, chiarirlo per quanto possibile. Sono sempre sorpreso dalla mancanza di comprensione che persiste tra quelli che elaborano il progetto e quelli che sono chiamati a giudicarlo o a viverlo. I professionisti, gli insegnanti così come voi, gli studenti, dovrebbero avere una preoccupazione comune, quella di aprire tutte le finestre sullo spazio e il tempo del progetto; quella di rendere questa pratica il più trasparente possibile per capire meglio le sue origini, la sua dinamica, le sue modalità di risoluzione, la sua storia; infine, quella di abbandonare la posizione un po’ romantica dell’artista isolato nel segreto del suo laboratorio e esprimervi molto chiaramente sulla genesi dei vostri progetti.

Difendere lo spazio aperto
Penso che la preservazione dello spazio aperto sia effettivamente un valore da difendere o, più esattamente, che sia importante opporsi all’ingombro sistematico dello spazio. Ho appena esposto l’importanza dei vuoti, degli intervalli nel gioco del rapporto con l’orizzonte, ed i paesaggisti non dovrebbero essere i complici di un accanimento a volere tenere tutto, costruire tutto, ricomporre tutto. Sgombra tutto che io progetto!
Dovrebbero opporsi a quelli che accumulano sullo spazio ogni sorta di protesi, tutto un ammasso di oggetti talora ben disegnati e molto fotogenici ma che partecipano al sovraccarico generale del paesaggio. La responsabilità del progetto sullo spazio è proprio quella di disporvi e di ordinarvi delle cose ma è anche spesso quella evitare di farlo. La padronanza del progetto richiede decisioni misurate e giuste.

Anticipare
Un attaccamento sempre più marcato al contesto vi predispone a guardare il territorio in una maniera dinamica. In effetti, le varie configurazioni del sito che scoprite riflettono in realtà un movimento generale, una sorta di inclinazione che esprime il tempo fisico e culturale all’opera nel paesaggio. Il fatto di essere supportato dalle conoscenze anteriori sullo sviluppo e l’organizzazione di quel territorio rafforza questo punto di vista. Il metodo che vi propongo può essere paragonato all’uso che i cineasti fanno degli slider (dispositivi di regolazione) il loro banco di montaggio: lasciate che si dispieghino, in un senso e poi nell’altro, tutta la serie di immagini che svelano i diversi tempi che hanno modellato e configurato questo paesaggio; spingendo lo slider al suo estremo, potrete quasi prolungare questa serie e intravedere le immagini che pesano sul futuro del sito e che vi spingeranno a questa o quella trasformazione. Nell’abbondanza e nella cronologia degli indizi che avrete scoperto, saprete riconoscere le attitudini più significative, quelle che offrono le maggiori probabilità di guidare e supportare le modifiche a venire, quelle che permettono di implicarsi saldamente nel reale consumando il minimo di energia. Il progetto è, a questo riguardo, una combinazione di ricordi e di anticipazioni. Non dovete intendere la raccomandazione che vi è fatta di ancorare il vostro progetto alla storia ed alla geografia dei luoghi come un incitazione alla nostalgia del passato ed alla conservazione. Vi si propone solamente di non lavorare più sulla tabula rasa ma di incardinare le vostre nuove proposte alla memoria del luogo.

Attraversare le scale
La solidarietà, la concatenazione spaziale e temporale di tutti gli elementi e le situazioni che compongono il paesaggio contribuiscono all’intimo incastro delle sue diverse scale. Ci sono, molto spesso, numerose corrispondenze tra gli elementi costitutivi del locale e quelli del globale. L’attraversamento delle scale consiste dunque nel dominare, simultaneamente ed in una stessa piega, l’insieme e il dettaglio, il vicino e il lontano. Vi occorre trasportare e trasporre, nello spazio dei vostri progetti, questa modalità che permette che gli elementi del paesaggio si associno e si tengano insieme. Il parco di Versailles è un esempio sublime, del concatenamento delle scale. Un bordo di una vasca, dei gradini, la dimensione di una siepe fanno implicitamente e talvolta esplicitamente riferimento alla composizione ed al lavoro formale dell’insieme del giardino. L’attraversamento e il dominio delle scale sono, di tutte le condotte o attitudini, le più difficili da acquisire, quelle che richiedono una maggiore esperienza e vi invito dunque ad allenarvi senza aspettare.

Abbandonare per ritornare
Durante i vostri primi lavori di investigazione, più esplorerete il sito e più scoprirete: gli archivi di un intero spazio sono inesauribili. Più accumulerete conoscenze su questa situazione e più fortificherete il campo di contraddizioni tra i vari parametri: quelli del sito e del programma, per esempio. Più analizzerete i dati del luogo e della domanda e meno sarete capaci di agire. Potete, se non state attenti, arenarvi nella complessità di una situazione paesaggistica! Dovete dunque regolarmente prendere una distanza rispetto al sito, distaccarvene, per lavorare nel vostro laboratorio con strumenti specifici che rappresentano e traducono la realtà. Sul posto, sareste sommersi dall’abbondanza dei dati e non potreste prendere nessuna decisione. Il progetto comincia da una certa forma di riduzione del reale che ne favorisce il controllo. Vi occorre formulare abbastanza rapidamente, in laboratorio, le prime ipotesi, sapendo che il lavoro sullo spazio stesso o, più esattamente, la sua rappresentazione nel progetto, apre delle opportunità che la riflessione o la gestione cumulativa dei dati non consentono di prevedere. Lo spazio ha delle risorse proprie che permettono di riformulare e di risolvere certe contraddizioni che l’analisi produce. Le cose si attestano gradualmente, i pezzi si dispongono o si scompongono in un’incertezza generale che è la compagna obbligata di tutti i responsabili di un’opera. Tuttavia, questa parte irriducibile della segreta soggettività produce abbastanza velocemente un corpo di conoscenze e di idee che possono essere trasmesse. Da lì il progetto si schiude!Ma, una volta avviate e stabilizzate le vostre prime decisioni, dovete tornare sul sito per provarne la fondatezza e misurare lo scarto tra le bozze del vostro progetto ed il suo adattamento al sito che lo accoglierà. Se trascurate questa consegna, il progetto che avete avviato si sgancerà rapidamente dalla realtà. Intervenire nel paesaggio, in questo mondo di interrelazioni complesse, richiede della conoscenza, dell’abilità, della padronanza. Se il vostro lavoro è troppo disattento, l’innesto che proponete ha tutte la probabilità di essere rigettato o di apparire malgrado tutto insolente e discordante.

Esplorare i limiti, oltrepassarli
Ogni progetto sul territorio dovrebbe cominciare dal rimettere in gioco l’apparente legittimità dei limiti concordati per quell’intervento, dal rifiuto di lasciare il paesaggio frammentarsi in molteplici “campi di azione” estranei gli uni agli altri. La pianificazione di ogni luogo deve, al contrario, essere informata da una profonda conoscenza del sito che l’accoglie ed il suo progetto deve lavorare all’insieme dei dati indotti da tutti gli spazi confinanti che, per concatenazione, compongono i diversi orizzonti di un sito. Vi occorre evitare di essere concentrati sull’ascendente esclusivo di un dominio. Vi occorre sottrarvi, prendere una distanza, raggiungere i limiti per scoprirvi le molteplici vie d’uscita per le quale potrete evadere. Allargando il vostro punto di vista, oltrepassando i limiti che vi sono assegnati, potrete misurare la loro resistenza, osservare la loro porosità. Allontanandovi, proverete le diverse condizioni nelle quali in un punto, lo spazio si afferma o, in un altro bascula su degli spazi vicini e quali sono i punti dai quali si spande sul suo intorno e si apre sulle lontananze. Le vostre scappatelle determineranno dunque quali sono i veri orizzonti di questo luogo.Nel paesaggio, non c’è limite così duro, così chiuso che non si fessuri e si apra su degli spazi confinanti. Non c’è una vera e propria discriminazione tra i diversi luoghi. Gli elementi di un paesaggio sono sempre caratterizzati dalla loro capacità di tracimazione, dalla diversità e dalla complessità dei patti che li legano agli elementi vicini. Nel paesaggio, non c’è un contorno netto, ogni superficie ed ogni forma vibrano e si aprono sull’esterno! Gli elementi del paesaggio hanno una presenza al di là della loro superficie. Questa emanazione particolare si oppone ad ogni vera discriminazione. E’ dunque nelle condizioni di limite che si trova il giacimento di tutte le qualità. Quelle che affermano la presenza delle cose e quelle che, allo stesso tempo, le sfumano per farle coesistere e fonderle in un ambiente più vasto.

Percorrere in tutti i sensi
Dovete percorrere il sito ed i suoi dintorni in ogni senso, osservare e registrare tutte le configurazioni, tutte le cose fino alle più impercettibili ed alle più trascurabili ; non dovete perdere niente di questa pagina di scrittura. François Dagognet, in Une épistémologie de l’espace concret* (una teoria dello spazio concreto), ci dice: “Ne quittons pas le sol, c’est-à-dire l’inscription, l’habitat, le paysage, là où s’implantent les vivants, les matériaux, les données”; “Le paysage est une méthode, on trouve moins en lui que par lui”; “C’est à la pellicule sinon même dans les futilités (ou presque) que le vrai scintille et peut être “arrêté”. Nulle part ailleurs” ; “Le savant n’est que trop tenté de négliger les marques, les plis, les hachures, les téguments; c’est bien dans le secondaire, voire le dérisoire, que la Vie se reconnaît et s’appréhende.”*
Tutti i territori che vi saranno proposti saranno stati storicamente l’oggetto di sconvolgimenti naturali, di occupazioni successive che avranno lasciato delle tracce, delle configurazioni, delle distribuzioni. Alcune di queste si saranno mantenute per molti decenni, o molti secoli, per essere state poi confermate dagli usi successivi. Non è superfluo sapere riprendere nei vostri progetti, o trasporre per l’avvenire, ciò che si può considerare come delle vere fondamenta. Questo tipo di economia di mezzi data alle vostre proposte vi permetterà di non rompere con l’identità di un luogo, di conservare il filo evitando delle rotture troppo brutali. È l’osservazione, l’investigazione, la conoscenza della massima quantità di dati, di tutto il sistema di eventi, di tutte le circostanze che tessono, sul piano morfologico e culturale, i nostri rapporti con le cose, che faranno sì che le vostre decisioni ed i vostri progetti saranno ispirati, ispirati dal mondo stesso.

*F. Dagognet, Une épistémologie de l’espace concret. Néogéographie, Paris 1977

Mettersi in stato di effervescenza
Fin dalle prime ore, senza avere ancora preso delle decisioni sul programma né sul sito che sarà l’oggetto del vostro intervento, vi invito a condurre parallelamente due azioni di grande intensità. Per fare un progetto, su un territorio che vi è molto spesso sconosciuto, dovete colmare, in un tempo ridotto, un deficit enorme di conoscenze e devono essere poste mille domande: che cosa si è tramato, che cosa si trama su questo luogo? Che cosa si vuol fare di lui? Chi lo vuole? Quale è stato il suo apogeo, a quando risale il suo declino, perché è disponibile oggi e perché bisogna trasformarlo? Quali sono le sue inclinazioni ed in quale sistema di spazi è inscritto? Tutte queste domande e molte altre ancora, che dovranno evidentemente trovare la loro giusta risposta in un momento o in un altro del lavoro che si intraprende, possono rimanere per un tempo in una forma evasiva, sospesa. Solo contano, per ora, la loro emergenza, il loro numero ed la loro raccolta. È il domandarsi in sé stesso che vi determinerà e vi calerà nella realtà, è questo che stimolerà la vostra attenzione. Sin dai primi momenti, una certa emulazione cognitiva deve affinare il vostro sguardo e la vostra sensibilità. Questo insaziabile bisogno di essere informato ed il lavoro che questo esige non devono tuttavia ritardare l’impegno nel lavoro formale del progetto.Allo stesso tempo, potete anche, senza aspettare tutte le risposte alle vostre domande, formulare delle ipotesi di lavoro e disegnare le prima proposte di pianificazione. L’intuizione è lo slancio che dovrebbe inaugurare la genesi del progetto. L’importante, mi sembra, è di prendere il più presto possibile la postura progettuale per evitare gli indugi di un’analisi preliminare troppo lunga.

Michel Corajoud

Traduzione: Valentina Gurgo e Priscilla Jorge

Info:
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via Conte Rosso 34, 20134 Milano
Tel. +39 02.70639293
Fax.+39 02.87181725
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n°161 in data 05/05/2014
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